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Afghanistan: No Game, un corto contro le mine

Il 75% delle vittime di mine antiuomo sono bambini. Spinti dalla curiosità spesso prendono in mano oggetti che non conoscono, per semplice gioco o per ricavarne qualche guadagno dalla vendita di parti metalliche.

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È un problema generale quello delle mine antiuomo al quale da anni si cerca di dare una soluzione internazionalmente condivisa. Nonostante questo ci sono zone del mondo in cui ogni giorno si riscontrano questo tipo di incidenti. Questa è una delle caratteristiche di un paese come l’Afghanistan che, sconvolto da decenni di guerra, ha accumulato una grande quantità di mine delle quali non si conosce il numero esatto ne tantomeno l’ubicazione.
È per contribuire a migliorare questa situazione che è stato girato da Giacomo Martelli a Kabul il video No Game “non è un gioco da ragazzi”, un cortometraggio senza alcun dialogo utile a mettere in guardia, principalmente i bambini, dal pericolo delle mine. La volontà di non inserire dialoghi o messaggi scritti risiede proprio nell’evitare qualsiasi barriera linguistica, andando direttamente al cuore del problema. Un racconto costituito da brevi sequenze di vita di alcuni ragazzi in un villaggio dell’Afghanistan, storie intrecciate in una trama di tragici eventi. In soli 12 minuti il filmato spiega che non si tratta di giocattoli, invita a prestare attenzione e ad evitare alcuni comportamenti, insegna delle abitudini che possono salvare la vita. Le scene mettono in luce la minaccia, le aree da evitare e i simboli da riconoscere. No Game è stato voluto dall’Ufficio di Cooperazione dell’Ambasciata d’Italia a Kabul, con finanziamenti dell’Ufficio Emergenza della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo. Il cortometraggio verrà a breve diffuso ai maggiori network televisivi afghani, a partire da ShamShad TV, partner anche nella realizzazione del film, e verrà proiettato nel corso del cinema itinerante di Omar, ONG leader nel settore dello sminamento in Afghanistan.
Il problema derivato da questi ordigni non si conclude però con la conta degli incidenti. È una guerra che si sposta su tutt’altro piano, quello intimo delle paure e delle percezioni. Non è difficile in paesi che si stanno riprendendo da una guerra scoprire, anche decenni dopo il conflitto, terreni ancora recintati con segnali di pericolo. Luoghi disabitati e quindi inutilizzati anche solo per il sospetto della presenza di mine. Dei campi che non possono divenire il simbolo stesso della rinascita ma che invece, disseminati di mostri, producono solo incubi.

Leonardo Mancini