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CHI GUARDA È COMPLICE

Nelle scorse settimane sono circolate moltissimo le immagini di un’iniziativa lanciata dal gruppo @seicomplice formato da studentesse dello IED. Nella Capitale sono apparsi una serie di volantini con frasi tipo “Guardate tutti quella str*** della mia ex nuda!!!”, “Guardate Francesca quanto è stata brava l’altra notte!!”, “Vaf*** Elisa!!! Ora tutti vedranno i tuoi video!!!”, accompagnate da un QR Code che prometteva di mostrare quelle immagini.

I volantini sono stati posizionati nei bagni dei locali e nei punti nevralgici di Piazza Bologna, Piazza Trilussa, San Lorenzo, Trieste e Ostiense. Uno di questi è finito persino all’ingresso della Facoltà di Giurisprudenza di Roma Tre ed è stato prontamente denunciato sui social della facoltà.

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Ma quello che ad un primo sguardo non sembrava altro che l’ennesimo terribile atto di revenge porn, oltretutto in un momento così delicato, viste le indagini sull’assassinio delle due studentesse Sara Campanella e Ilaria Sula, in realtà si è dimostrata essere una campagna di sensibilizzazione (sicuramente di forte impatto) sulla violenza di genere e contro il terribile fenomeno dello stesso revenge porn.

Se infatti si scannerizzava il qrcode con il proprio smartphone, il link contenuto non portava ad immagini private, ma ad un video girato con l’intento di sensibilizzare l’utente e colpevolizzare il gesto appena compiuto. Un vero e proprio ribaltamento, che spinge a riflettere sul proprio ruolo nel meccanismo del revenge porn. Le organizzatrici di questa iniziativa hanno spiegato di voler far riconoscere una verità scomoda: chi guarda, è complice. Complice di un fenomeno in ascesa e che spesso si cela alla base di storie di violenza, di femminicidio e persino dietro casi di suicidio.

I numeri del fenomeno riportati anche dalle organizzatrici di questa campagna sono chiari. Nel nostro Paese negli ultimi anni sono circa 5 milioni le persone che sono state vittima di revenge porn. Ma ancora più pensare fanno i numeri della “platea”, infatti sarebbero circa 14 milioni le persone che hanno visualizzato questi contenuti privati, diffusi (e spesso anche realizzati) in maniera non consensuale. Infine un dato che risulta agghiacciante e che fa comprendere i motivi alla base di una campagna come questa: secondo i dati diffusi dalle organizzatrici, infatti, l’84% di chi riceve queste immagini e decide di condividerle si è detto pronto a farlo nuovamente, come se tutte le iniziative di sensibilizzazione, e i tentativi di educare nei confronti della violenza di genere non fossero serviti a molto.

Leonardo Mancini