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IL VOTO NON CI SCALDA PIÙ

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Tratto da Urlo n.235 giugno 2025

Per milioni di persone il voto è una luce fioca, lontana, che non riesce più a scaldare cuori né a generare fiducia. Anche questa volta, come tante altre negli ultimi trent’anni, il quorum non è stato raggiunto. Un silenzio che pesa. L’Italia si allontana dalle urne, e con essa si allontanano le speranze, le promesse, le illusioni. Per metà del Paese, votare non ha più senso: è diventato un gesto vuoto, inutile, lontano dalla realtà.

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Eppure, in alcune città, nei quartieri più attenti, nei luoghi dove ancora resiste una coscienza collettiva, qualcuno ha continuato a crederci. Le grandi aree urbane, la Toscana, l’Emilia-Romagna: avamposti di partecipazione. Ma altrove, nei piccoli comuni, nel Sud ferito, nelle isole dimenticate, è calato il gelo. Non è solo disinteresse. È delusione. È rabbia. È un grido soffocato: “Non mi rappresenta più nessuno”. È la voce di chi non ce la fa più a credere che un’elezione possa cambiare qualcosa. Di chi ha visto troppi discorsi e poche risposte. La politica è diventata un’eco distante, mentre la realtà è qui, concreta, e spesso dura. In questo vuoto entrano nuove narrazioni: veloci, aggressive, seducenti. Ma dietro l’illusione non c’è soluzione, solo ulteriore solitudine. Se chi soffre, chi lavora, chi spera, resta fuori, allora il senso stesso della democrazia si sgretola. E ricostruire sarà più difficile di quanto immaginiamo.

Erano referendum che parlavano di diritti, di dignità, di fatica quotidiana. Parlavano di chi si sveglia presto ogni giorno, di chi fatica per arrivare a fine mese, di chi vive nell’incertezza di un contratto che scade, di uno stipendio che non basta. Eppure, nel silenzio assordante di un Paese distratto, in troppi hanno scelto di voltarsi dall’altra parte. Il mare, il disincanto, la sfiducia. La destra aveva chiesto di non partecipare, e il vuoto delle urne è diventato un’arma. Ma il vero dramma è altrove. Sta in una sinistra incapace di parlare a chi ha più bisogno, di dare voce ai lavoratori invisibili, ai precari, ai sottopagati, a chi non ha mai conosciuto la stabilità. Il “campo largo” non è bastato: non ha emozionato, non ha coinvolto, non ha acceso speranze.

C’è una solitudine profonda dietro questa assenza: quella di milioni di italiani che non credono più che le istituzioni possano cambiare davvero le loro vite. Ricostruire un senso di appartenenza, dare voce a chi non ne ha più, sarà la sfida più grande. Una sfida che non possiamo più permetterci di perdere.

Leonardo Mancini