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L’affare GECO

Ho vissuto l’adolescenza assieme ai miei amici in un posto che tutti abbiamo ribattezzato il Quadrato. C’era chi passava il tempo a studiare, chi preferiva amoreggiare, oppure c’erano quelli che fumavano cercando risposte a domande fondamentali sulla vita e chi semplicemente voleva evadere per andare altrove. I nostri sedici anni sono durati il doppio e l’unica cosa concreta ed immutabile erano i graffiti sui muri attorno a noi.

Il direttore mi ha contattato la mattina presto per informarmi che GECO era stato arrestato e di scrivere questo articolo. Il blitz della NAD, ovvero il nucleo Ambiente e Decoro della polizia di Roma Capitale, ha fatto irruzione nella casa del writer sequestrandogli il computer, il telefono cellulare e altro materiale utile all’indagine, oltre alle numerose prove a suo discapito. Neanche fossimo il giorno dopo la cattura di Al Capone da parte della banda di Kevin Costner nel classico del cinema Gli Intoccabili.

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La sindaca Virginia Raggi, dalla sua pagina Facebook, ha festeggiato la cattura del graffitaro con un post, dichiarando che, è stato arrestato l’uomo reo di aver imbrattato i palazzi di mezza Roma e non solo. Come se non bastasse la stampa capitolina ha sbattuto, nome e cognome dell’imputato, sulle prime pagine web dei giornali, adottando una tattica accusatoria in pieno stile anni ’70, facendo il verso ai migliori titoli della filmografia di Elio Petri senza prendere minimamente la distanza dai commenti, apparsi sotto il post, che inveivano contro GECO augurandogli una morte lenta per crocifissione. Dopo il danno ecco la beffa.

Un film a lieto a fine, secondo i garantisti, mentre per chi vive la città, la notizia è stata digerita malamente. Si stanno diffondendo molti messaggi di solidarietà in favore di GECO. Chi di pennello ferisce di pennello perisce. Nella nostra città esistono gruppi, chiamati Retake, che imbiancano pareti marmoree con pittura grigia, pagata dal comune di Roma, che dipingono palazzi storici, che staccano adesivi credendo in un mondo più decorso di questo, in grado di cancellare la storia del secolo passato. Ma questi ragazzi da dove vengono? Da chi sono spinti? Chi ci sta dietro a loro? Sicuramente incarnano una mentalità governativa vecchia come il mondo. Le critiche muovo i loro passi da tempo e come dimenticare nel 1992, durante l’amministrazione di Franco Carraro, quando fu rimosso per la visita nella capitale del presidente Michail Gorbačëv, il graffito su palazzo delle Esposizioni di Keith Haring. Inutile a dirsi una delle figure più influenti dell’arte di strada del XX secolo. Successivamente nel 2001, a rimuovere la seconda opera su lungotevere Flaminio, fu l’ex sindico Francesco Rutelli.

Ora paragoni a parte il modus operandi è sempre lo stesso e Roma non si smentisce mai. Il tema dei graffiti è un argomento scomodo ed affrontato sempre in maniera superficiale, che siano le voci uscite da un Bar, da una redazione giornalistica oppure da uno studio televisivo. Arte oppure semplice abuso? Resta il fatto che per dirigere l’opinione pubblica a favore dell’abuso, facendo infiammare la furia del popolino e schierarla verso chi legifera, è bastato ogni volta ricordare che a pagare i conti delle pulizie sono i cittadini stessi con le loro tasse. Quando poi i problemi della città, lo sappiamo tutti, non si risolvono con una banale equazione. Questo ci riporta all’infinito dibattito su cosa sia un gesto artistico. Lo spirito sovversivo dei graffiti, sin dagli albori New Yorkesi, ha vissuto d’indolenza, ribellione ed affermazione. E benché quindi sia vero che non tutta l’arte di strada è fuori legge, è altrettanto vero che ciò che di interessante ancora ne emerge, è la reazione che provoca l’apparizione in città di un graffito “abusivo”. Se fosse vero che il decoro prevede un’idea di pulizia e di ordine, mentre il degrado il totale opposto, chi può giudicare cosa sia piacevole o disturbante?

In un’intervista rilasciata da GECO sul web magazine ocorvo.pt, durante il trascorso portoghese, che gli domandava cosa pensasse alle critiche verso i graffiti come “inquinamento visivo”, l’artista ha risposto: “La maggior parte delle persone che lo dicono non pensano nemmeno a criticare tutti i giganteschi spot pubblicitari. Questo è inquinamento visivo, secondo me. Non ne hanno una visione critica perché lo considerano legale e politicamente corretto. Certo, è perfettamente giusto non amare i graffiti, ma le persone dovrebbero essere più critiche e rendersi conto che i graffiti non sono il vero problema. Ci sono molti modi in cui veniamo aggrediti visivamente e additiamo i graffiti poiché l’inquinamento visivo è stupido. Ma ci sono anche persone a cui piacciono i “bei graffiti” e non i tag, il che sembra irragionevole perché uno non esisterebbe senza l’altro”. Parole chiare che aprono nuovi spazi di riflessione.

La notizia dell’arresto di un artista del suo calibro fa male. Siamo davanti a città gentrificate, snaturate della propria storia e trasformate in enormi slot machine da consumo, benedette dal decoro, dove un writer o un artista di strada che marca un pezzo di muro o illustra la sua visione del mondo è visto come il mostro da sbattere in prima pagina. Io sto con GECO.

Riccardo Davoli