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Non saremo mai “kontantfri”

Tratto da Urlo n.207 dicembre 2022

Poche ore prima di scrivere questo editoriale mi sono trovato a pagare in un negozio del centro (frequentato da turisti di tutto il mondo) uno scontrino da circa 50 euro. Alla mia richiesta di pagare con la carta il ragazzo alla cassa ha lasciato il posto a quello che ho identificato come il proprietario, o perlomeno un responsabile adibito a questo genere di pagamenti. Tralasciando il fatto che sembra impossibile che in un negozio del centro solo una persona sia in grado oppure autorizzata a far pagare con il POS, quello che mi ha fatto pensare è stata la frase pronunciata mentre strisciava la mia carta: “Tra un po’ per questo conto ti servono i contanti”.

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Sono diversi giorni che il dibattito politico nazionale è avvitato sulla questione POS. I pagamenti elettronici stanno saturando la scena, divisa tra i fautori dell’utilizzo indiscriminato di questo strumento e chi, come molti degli esponenti dell’Esecutivo, prevedono invece una diminuzione dei pagamenti con carte e bancomat. Il sistema pensato dal Governo è quello di inserire un tetto al pagamento minimo accettabile in digitale a 60 euro.

Quella che avviene attraverso le veline è una discussione che al momento non mi appassiona. Trovo molto più interessanti alcuni articoli apparsi in questi giorni che riportano analisi di numeri e commissioni relative al fenomeno, così come relativi alla assoluta prevalenza dei pagamenti elettronici in alcuni paesi europei.

Partiamo dalla questione europea. C’è una parola, riportata da Repubblica, che mi ha fatto pensare: “kontantfri”. Con questo termine gli svedesi indicano tutte quelle attività commerciali (l’assoluta maggioranza secondo l’articolista) che non accettano più pagamenti in contanti. Mentre in Italia si dibatte su quale sia il giusto tetto minimo a questi pagamenti (e l’unico addetto di un negozio del centro di Roma scherza sull’impossibilità a breve di battere uno scontrino elettronico da 50 euro), in Svezia ci si può spostare e consumare senza avere contanti in tasca.

Il secondo tema invece riguarda il sommerso. Tutti quei pagamenti che diversi esperti e commentatori indicano come a rischio evasione grazie alla collaborazione di fattori come l’innalzamento al tetto del contante e quello del minimo per i pagamenti elettronici. Sono i dati dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) a sottolineare questa tendenza, spiegando come dove nel nostro Paese sono maggioritari i pagamenti in contanti (Sud Italia) aumenti il fenomeno dell’evasione. In Calabria ad esempio l’uso del contante è sopra il 90% e l’economia sommersa al 21%, mentre in Emilia-Romagna a fronte del 64% dei pagamenti in contante il sommerso si attesta al 12%.

Infine tra i temi portati a bandiera dell’inserimento di un tetto minimo ci sono i costi di gestione e le commissioni per i commercianti. Tralasciando le varie offerte, alcune delle quali azzerano persino le commissioni fino ai 10 euro, la domanda da farsi è se il problema è stato veramente messo a fuoco.

Se nel resto d’Europa (e del Mondo) si punta al pagamento digitale in via quasi esclusiva, se i dati riferiscono che dove si paga in contanti si evade di più e se i commercianti si dicono “strangolati da spese e commissioni per i POS”, allora non si dovrebbe incidere su quest’ultimo problema? Perché, ancora una volta, si alimenta lo scontro tra commercianti e consumatori, invece di spostarlo tra il Governo, banche e servizi di gestione di questi pagamenti?

Leonardo Mancini

Tratto da Urlo n.207 dicembre 2022