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Roma abbandonata

Perché a Roma ci sono così tanti posti abbandonati?

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Questa è una domanda che mi pongo da quando, qualche anno fa, decisi di coniugare l’amore per la fotografia alla fascinazione per i luoghi in decadenza. In un continuo e incessante lavoro di ricerca, tra ospedali, fabbriche, complessi monumentali e nuove opere mai inaugurate, ho scoperto, dentro la città e nei suoi quartieri più periferici, un mondo parallelo fatto di incuria e degrado. Interi edifici, tracce di un passato che non esiste più, sono accomunati dall’essere stati svuotati, nel tempo, della loro funzione, e poi lasciati a marcire tra le macerie create dagli anni che passavano e dai vandali che hanno razziato queste terre (metaforicamente) di nessuno.

Qualche settimana fa uno dei più imponenti edifici “dimenticati” dei nostri territori, l’albergo “bidet” di San Paolo, è stato occupato per qualche ora da alcuni ragazzi (liceali e universitari) creatori di un progetto editoriale che rivolge la sua attenzione anche a questa tematica. Ovviamente, è stato l’atto provocatorio di ragazzi giovani e pieni di voglia di cambiare le cose, prendendo spunto da ciò che succede nel mondo, dove spesso questi luoghi vengono riutilizzati. E con tale atto è stato provato anche quanto sia facile accedere a questi edifici, nonostante si commetta reato. Tanto che, come le cronache ci hanno raccontato in passato, essi sono spesso divenuti scenari di tragedie che, probabilmente, potevano essere evitate con un maggiore controllo e tempi di stallo (nei casi in cui si preveda una riqualificazione) decisamente più brevi.

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Anche se alcuni spazi nella nostra città sono stati riutilizzati (si pensi all’Ex Dogana, all’Air Terminal, all’ex Caserma Guido Reni), il problema resta tangibile in quanto gli esempi “virtuosi” non superano di certo quelli meno degni di nota. Anche se non è saggio scomodare l’estero per ogni questione di casa nostra, è indubbio che fuori dai nostri confini ci siano floridi esempi di come i luoghi abbandonati vengano valorizzati e si integrino perfettamente nella realtà cittadina, riacquisendo un nuovo scopo di esistere, spesso sotto il segno della legalità. In una città che, almeno idealmente, guarda al futuro, come è possibile lasciarsi dietro alle spalle dei colossi così imponenti e rappresentativi del passato, guardandoli con indifferenza e sperando che vengano inghiottiti e divorati dal tempo che scorre? In un’era sempre più devota al recupero si potrebbe cambiare il punto di vista anche su argomenti così impegnativi. Sono sicura che le potenzialità insite nella riscoperta potrebbero essere davvero sorprendenti, creando delle opportunità di crescita che, ad oggi, è davvero un peccato non poter cogliere.

Serena Savelli

Tratto da Urlo n.146 maggio 2017