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Vince chi si astiene

Tratto da Urlo n.209 febbraio 2023

Non è la prima volta che su queste pagine parliamo di campagne elettorali poco emozionanti e a tratti anche poco edificanti. Basti pensare che anche in questo caso il vero vincitore è il partito degli astenuti (anche con un trend in salita rispetto alle scorse elezioni). Infatti in questa tornata si sono recati alle urne (nel Lazio) soltanto il 37,2% degli aventi diritto, segnando una diminuzione dell’affluenza rispetto alle scorse elezioni (che avevano visto la vittoria del centrosinistra) del 29,3%. Se faceva paura l’astensione quando era al 40% adesso che supera il 60% ci si dovrebbe strappare i capelli. Ma questo, naturalmente, non accade.

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Né tra i vincitori né tra i vinti si fa una vera autocritica, arrivando a capire e a sottolineare come la disillusione che fa rimanere i cittadini a casa il giorno delle elezioni non ha tessera di partito ed è trasversale. Naturalmente il centrodestra in queste elezioni ha raggiunto la maggioranza, non c’è da interrogarsi su questo, mentre c’è da chiedersi su quali pilastri si fondi questa coalizione. Se da un lato la Lega di Salvini ha tenuto sia nel Lazio che in Lombardia, evitando al segretario un risultato da dimissioni, non mancano le frizioni con l’altro alleato di Governo: Forza Italia. Non si può non rilevare uno scollamento tra quello che è il ruolo del leader e quello dei rami operativi (anche all’interno del Governo) del partito di Arcore.

Anche le ultime esternazioni (ad urne aperte) sul ruolo che avrebbe giocato il Presidente Zelensky nella crisi ucraina, non fanno che aumentare i contrasti e creare non pochi problemi (sul piano interno e internazionale) alla premier. Una situazione che va letta anche nell’ottica ridicola del dibattito sulla partecipazione o meno del presidente ucraino al Festival di Sanremo. Un dibattito surreale se messo a confronto con la realtà della guerra e che spero i tanti cittadini ucraini nel nostro Paese prenderanno per quello che è: l’ennesima caduta di stile. Basti pensare che la parola che avrebbe messo fine al dibattito, con la Meloni che approvava un contributo video di Zelensky, è arrivata solo nella giornata di venerdì 10 febbraio, sottolineando anche che “non penso che fuori i confini nazionali il ruolo di Sanremo abbia lo stesso impatto che ha sul nostro dibattito interno”, speriamo.

Ugualmente complessa la situazione nella coalizione di centrosinistra. Qui si rischia di fare l’errore di pensare che la panacea sarebbe il campo largo e non ripensare la base. Ma basterebbe guardare le percentuali delle forze che si potrebbero includere per capire che tutte assieme non generano abbastanza voti da ridare linfa al centrosinistra. Nella casa dei democratici la riflessione deve riaprirsi: ora c’è l’appuntamento con le primarie e poi circa 15 mesi prima del prossimo appuntamento con le urne. Un tempo forse non sufficiente per ripensare un partito vincente, ma sicuramente un periodo onorevole per provarci.

Leonardo Mancini