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Suonare “al mio più profondo Io”

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La domanda è questa: è davvero così importante oggi, nella musica, dover esprimere qualcosa attraverso le parole?

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Testo e linea vocale sono certamente fondamentali in una canzone, ma se si vuole fare qualcosa di diverso, soprattutto qui da noi, la scelta di non aprire bocca non appare forse la più sensata e la più accattivante? Ormai si è capito, il rock si sposa con l’inglese e decisamente poco con l’italiano. Sarà il lavaggio del cervello made in USA che subiamo da 60 anni ma, effettivamente, è così.

La lingua italiana è più adatta al parlato o al cantautorato e molte band questo l’hanno capito: CCCP, Offlaga Disco Pax, Teatro degli Orrori, omettendo le scene Rap nazionali più o meno sotterranee. Inutile sottolineare che sono secoli che la musica è esclusivamente strumentale, ma per una band, una scelta di questo tipo in un contesto come quello del rock sperimentale, in cui vale sempre lo sbattimento attraverso i live e la necessità di accaparrarsi il pubblico, è sicuramente una scelta coraggiosa. 

Ed è proprio la scelta che hanno fatto i Tomydeepestego, band post-hardcore con influenze metal e psichedeliche. Nati nel 2006, con tre album all’attivo, ovvero “Odyssea” del 2007, “Chronophage” del 2009 e, l’ultimo, “Nero” del 2012. Per i primi due album i quattro componenti, che già provenivano da band conosciute a Roma, come Inferno Sci-Fi Grin’n Roll e The Phoenix, furono immediatamente adocchiati dalla Subsound Records, poi ruppero con quest’etichetta e decisero di produrre, distribuire e pubblicizzare autonomamente il loro ultimo lavoro mediante Bandcamp. Nel 2012 subentra un nuovo strumento a sostenere la possenza del gruppo: il synth. Questo fattore ha contribuito a rendere migliore e meglio organizzato a livello sonoro “Nero” rispetto agli altri due album, inoltre, la scelta dell’autoproduzione e l’introduzione del nuovo componente ha sicuramente giovato alla band che ha ricevuto nell’ultimo anno numerose critiche positive.

Come è naturale che succeda con le band strumentali, i titoli sono gli unici elementi testuali che alludono o evocano qualcosa al di là della musica, e “Nero”, così semplice e diretto, evoca un’atmosfera che permea tutto l’album. I Tomydeepestego sono stati spesso collegati allo Sludge, e se ascoltiamo brani come “Pece”, “Petrolio”, e soprattutto “Grafite” si capisce l’accostamento, ma queste tracce sono ancora più cariche di pesantezza e di oscurità. I titoli sono la preparazione evocativa all’ascolto di accordature così basse che sembra che le corde di bassi e chitarre vibrino come un elastico allentato. Le distorsioni, inutile dirlo, sono estreme, ma l’effetto complessivo non è una sonorità così esagerata come si può immaginare: la grande attenzione che il gruppo ha rivolto alla struttura delle tracce rende la loro musica godibile anche per chi non è solito addentrarsi in questo genere musicale. Suonano al loro più profondo Ego e noi, questo, lo percepiamo senza ombra di dubbio.

Marco Casciani