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C’era una volta in Anatolia

Autolesionismo audiovisivo, ovvero quando la bellezza del cinema si riassume nella possibilità di usufruire di un luogo chiuso in cui godere dell’aria condizionata.

150 minuti Potëmkiani nel corso dei quali, alla stregua del ragionier Fantozzi, si cova un crescente risentimento nei confronti di quanto viene riprodotto sullo schermo per poi tuttavia dover reprimere l’irrefrenabile voglia di esplodere alla sua maniera nel corso dei titoli di coda. Un uomo è stato ucciso, il sospetto omicida deve condurre un commissario di polizia, un medico legale, un procuratore distrettuale, alcuni poliziotti ed altri soldati che scortano il suo complice al luogo in cui è stato sepolto il cadavere. Bastano 246 caratteri per descrivere una trama che si dipana lungo gli aridi sentieri dell’Anatolia su cui si stagliano le dolorose vicende personali dei personaggi. C’è chi penserà che queste righe sono state scritte dal solito italiano medio, capace di esaltarsi soltanto per i film d’azione e per il 4-3-3 di Zeman. La controprova, invece, la fornisce il commento declamato dal solito intellettuale presente in sala. Nonostante la sua folta barba, il taglio di capelli à la page, le Clarks e quell’abbigliamento che lo rende tanto radical chic, se ne è andato esclamando tutto il suo disappunto con un fragoroso: “e che cavolo!” (n.b.: il “che cavolo” è edulcorato).

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C’era una volta in Anatolia
(Bir zamanlar Anadolu’da)
Regia: Nuri Bilge Ceylan
Sceneggiatura: Nuri Bilge Ceylan, Ebru Ceylan, Ercan Kesal
Interpreti: Muhammet Uzuner, Yilmaz Erdogan, Taner Birsel, Ahmet Mümtaz Taylan, Firat Tanis, Ercan Kesal

Simone Dell’Unto