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Gabriele Lavia porta in scena “Il Padre” di August Strindberg

Al Teatro Quirino la seconda tappa del tour che vede il ritorno sui palcoscenici italiani di uno dei padri della letteratura scandinava

copyright-Filippo-Milani

Quando si parla di Strindberg, di Ibsen, Brecht o Pirandello c’è sempre il rischio di infrangersi contro il muro del confronto con l’originale divenuto, ormai, classico. Se poi si parla di un’opera come “Il Padre”, definita un “capolavoro di dura psicologia” da Nietzsche, dopo essere passata per le mani entusiaste di Émile Zola, primo critico del manoscritto, allora la possibilità di sbagliare l’approccio alla rilettura del classico diventa sempre più concreta. Gabriele Lavia, attore e regista milanese dall’esperienza ultra trentennale, è però alla sua terza volta con “Il Padre” di Strindberg e può vantare, oltre che una grande esperienza con l’interpretazione dei classici, una conoscenza del maestro della drammaturgia svedese che riduce enormemente i rischi del confronto. “L’intreccio del Padre”, spiega Gabriele Lavia, “è semplicissimo. Un marito sospetta che la moglie lo abbia tradito e che la figlia sia figlia di un altro. Marito, moglie, figlia e… l’altro. Un intreccio, diciamolo pure, banale, che nelle mani di Strindberg diventa un ‘abisso’. O, meglio, il precipitare nell’abisso della perdita di ogni ‘certezza ontologica’ dello statuto virile della paternità e l’avvento della condizione di ‘incertezza dell’essere’ dell’uomo che, dunque, deve fare i conti con la cultura, la storia e addirittura, poiché Strindberg scrive una tragedia classica, con il mito”.

 

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L’opera, scritta nel 1887, racconta la storia di Adolf, un Capitano, e Laura, sua moglie, nella fase finale del loro matrimonio. Il Capitano, sospettoso di un tradimento da parte di Laura, inizia a immaginare che Bertha non sia figlia del suo matrimonio ma di un adulterio. I sospetti, sempre più grandi e sempre più pressanti, conducono il Padre alla follia e alla perdita di qualunque certezza. “Siamo alla fine dell’Ottocento e, quindi, ci si muove”, prosegue Lavia “in un ambito nel quale, ancora, non è possibile scientificamente provare con certezza la ‘paternità certa’ di un uomo. Solo la madre è certa. Il padre non è certo. Così il Capitano, il Padre, cioè l’uomo del comando, privato di ogni certezza è condannato a soccombere di fronte alla donna che è più forte, perché ha la ‘certezza dell’essere’. La certezza dell’essere contro l’incertezza del non essere. E se l’essere uomo diventa ‘non essere’, diventa proprio come Amleto, follia”. Con Il Padre, Strindberg intende svelare, attraverso lo specchio deforme del mito di Ercole e Onfale, la caduta del ruolo e del senso della figura paterna, nella società di fine ‘800. Per l’autore, infatti, lo scambio di abiti tra i protagonisti, cela, dietro la banale vicenda familiare, un vero e proprio scambio di ruoli che determina la crudele sopraffazione della donna sull’uomo. In quest’opera c’è molto della tempestosa e contraddittoria vita dell’autore che, con sapiente maestria, Lavia reinterpreta e mette in scena per il pubblico teatrale. L’autore milanese, regista e interprete del Capitano Adolf, protagonista della storia, omaggia il capolavoro svedese con il giusto rispetto ma con l’audacia di chi vuole che un maestro della letteratura come Strindberg sia apprezzato e vissuto in epoche che non gli appartengono.

Teatro Quirino

Dal 23 gennaio al 4 febbraio

Il Padre di August Strindberg

Regia di Gabriele Lavia con Gabriele Lavia, Federica Di Martino e con Giusi Merli, Gianni De Lellis, Michele Demaria, Anna Chiara Colombo, Ghennadi Gidari, Luca Pedron.

Marco Etnasi