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Low – Heroes – David Bowie

heroes

I punti più alti nella carriera di un genio

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Nel suo libro “Lo spirituale nell’arte”, datato 1909, il pittore Vasiliij Kandinskij (padre ed uno dei massimi esponenti dell’astrattismo), parlava così del concetto di opera d’arte: La vera opera d’arte nasce (dall’artista) in modo misterioso, enigmatico, mistico. Staccandosi da lui assume una sua personalità, e diviene un soggetto indipendente con un suo respiro spirituale e una sua vita concreta. Diventa un aspetto dell’essere. Non è dunque un fenomeno casuale, una presenza anche spiritualmente indifferente, ma ha, come ogni essere, energie creative, attive. Vive, agisce e collabora alla creazione della vita spirituale”.

Questo paragrafo, tratto dall’opera del maestro russo, è adattabile a qualsiasi espressione artistica (compresa la musica), ed è altresì adattabile sia alla figura che alla produzione di David Bowie, il Duca Bianco, scomparso il 10 gennaio di quest’anno, due giorni dopo aver compiuto il suo sessantanovesimo compleanno, giorno in cui è anche uscito il suo ultimo album (e mai come in questo caso l’espressione “testamento artistico” è stata così calzante). Bowie è stato un genio: e chiunque volesse usare questa espressione per liquidare frettolosamente la questione, non potrebbe comunque trovarne una migliore, anche correndo il rischio di essere banale. Qualsiasi canzone, concerto, gesto, cosa fatta da Bowie, era di lui intrisa, completamente immersa nella sua sfaccettata e strabordante personalità ma talmente forte da entrare fin da subito nel firmamento del mito. Riprendendo Kandinskij, le canzoni di Bowie sono e sono state “soggetti indipendenti con una loro vita concreta”: sia per la loro capacità di essere di volta in volta espressione della ricerca artistica di Bowie, sia per il loro riuscire a diventare pietre miliari della musica tutta, separandosi dal loro autore e mostrando da sole tutta la loro potenza. I brani di “Low” e di “Heroes” (due album tra i massimi capolavori dell’artista britannico, usciti entrambi nel 1977 a poca distanza l’uno dall’altro e primi due capitoli della famosa “Trilogia berlinese”, di cui fu importante elemento quel mostro sacro che risponde al nome di Brian Eno) non sono da meno: gli eccessi della sua trasferta americana (Bowie si era trasferito a Los Angeles) e la necessità di dover ritornare alla cultura “madre” europea, lo porteranno a trasferirsi a Berlino (insieme ad Iggy Pop, anche lui all’epoca in piena crisi artistica), dove vivrà quasi nell’anonimato, e dove verrà a contatto con gli ambienti dell’avanguardia di quegli anni. “Low” ed “Heroes” rappresentano due tra i punti più alti nella carriera di Bowie, e due tra i punti più alti nell’incontro tra il rock e la musica sperimentale, tra la cultura europea e quella extraeuropea, con l’alternanza tra la costruzione di potenti architetture sonore di brani strumentali e canzoni pop (di altissimo pop), caratterizzate dalla meravigliosa voce di Bowie e dalle sue liriche esprimenti tutta l’angoscia degli anni che stava vivendo in quel periodo della sua vita. Le opere di Bowie, alla luce della loro grandezza e della loro importanza, non rimarranno solo come testimonianza storica o della creatività del Duca Bianco, ma come vere e proprie colonne portanti della cultura in cui sono nate e che hanno prodotto, capaci di segnare il loro tempo e di precorrere il futuro. Grazie di ogni cosa.

Flavio Talamonti