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LA ROMA DE “LE STREGHE”

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Al Teatro Agorà dal 24 Febbraio al 1 Marzo.
Uno spaccato della Roma trasteverina di fine ottocento. La Roma dei bulli e degli stornelli riletta dalla penna di Serena Casciano con la regia di Andrea Grossi e presentata da La Compagnia Del Funambolo. Il ritorno di Nina, una ragazza nata a Trastevere ma trasferitasi a Viterbo per studiare da una ricca zia, sconvolgerà la vita di Mariuccio.


Il giovane allegro e fin troppo spensierato, che a breve sarà eletto “er più”, se ne innamora perdutamente accantonando la povera Rosina, che lo ama da sempre pur sentendosi sfruttata e non corrisposta. A quel punto la rabbia e l’invidia hanno il sopravvento sulla ragione, Rosina e Renato, l’amico invidioso di Mariuccio, si alleano affinché Nina sia additata come strega e Mariuccio se ne allontani. La vicenda verrà arricchita dai pettegolezzi di due streghe3strambe comari e dalla maschera di un simpatico amico dall’accento un po’ “burino”. Il palcoscenico si apre come una fotografia d’epoca accompagnata da una voce fuori campo che introduce la prima scena. Con simmetria e semplicità la scenografia ci porta all’interno della vita del popolo romano, nei luoghi e negli oggetti ad essa familiari. Tre donne in costume entrano sul palco come macchiette uscite dalle pagine di un romanzo realista della seconda metà dell’ottocento. Gli attori danno vita ai loro personaggi, attraverso una recitazione che ne mostra tutte le sfumature caratteriali, in esilaranti scenette, come quelle delle comari, e in battute più riflessive come il pentimento di Renato, il ruolo di coscienza di Peppe, l’amico burino, e i monologhi di Mariuccio. Andrea Grossi interpreta Mariuccio, il bullo, “Er Più” che, quando scopre il vero amore, trema davanti al giudizio degli altri, Francesca Gitto è Rosina, eroina di un amore tragico-romantico che diventa cinico egoismo, Federica Nesteri è Nina che vive il suo amore con purezza e ingenuità ma pronta e decisa ad affrontare il suo destino, Settimio Cora è l’ispirato Peppe, un provinciale che crede di dover imparare a vivere da una città che si mostra più provinciale di lui, Matteo Montalto è Renato che si piega a un gioco sporco, per superare la sua condizione di eterno secondo, scoprendo cosi il più alto significato dell’amicizia, Veronica Loforese e Sara Martinelli sono due comari simboli della temuta Fama popolare romana. La regia brillante di Andrea Grossi accompagna l’intreccio del plot con la schiettezza dei colori primari montando rapidi acquerelli a tema: l’onore, nel suo significato più antico, l’amicizia, quando questa è rispetto disinteressato per gli altri, l’amore, nel suo lato più puro e sincero e in quello più egoistico e meschino. Le musiche e le luci lavorano bene nel supportare un testo acuto e vivace non estraneo a gustose punte di lirismo, come nello sfogo passionale di Mariuccio “Le cose belle so senza nome…Le vedi e nun le chiami pe paura che scappeno” (scena seconda, atto primo), nell’assolo tragico e vibrante di Rosina “Mo nun vojo piagne più/Me ripio la dignità nelle lacrime dell’artri/Sbajo?…lo so…/Perchè questa è cattiveria/Ma ‘sta vorta è per amore…no pe corpa mia.” (atto secondo, scena quarta); in quello di Renato “me ricordo mi padre….me diceva “Renà. Nun te trovà mai nella condizione brutta de chi l’onore e rispetto se li compra.tu ste du cose nu le devi mai comprà…e soprattutto…nu le devi mai venne.” Una commedia divertente alla quale non mancano riflessioni sulla vita alleggerite dalle battute sempre pronte dei personaggi, anche nei momenti più seri; una commedia dove lo spettatore non può non provare simpatia verso un mondo che risulta vero e umano.

Ivan Selloni