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Aspettare le festività, ieri come oggi

Come gli uomini moderni, anche gli abitanti della Roma antica agognavano le festività politiche e religiose, che spesso coincidevano. Già da gennaio possiamo contare diverse feste, ma non bisogna dimenticare che la società romana era divisa in classi, che possiamo dividere in tre per semplificazione: i patrizi (diventati poi i senatori) erano i più ricchi, erano i nobili che costituivano la classe dominante anche negli affari politici; i plebei che erano artigiani e commercianti, cioè erano la classe meno abbiente (alcuni dei quali fecero fortuna diventando la classe degli equites, etimologicamente coloro che potevano finalmente permettersi un cavallo, quasi paritariamente ai nobili); infine gli schiavi, il cui numero in città era aumentato nell’era repubblicana, parallelamente all’aumento dei territori conquistati dalla romanità, alcuni dei quali diventavano uomini liberi, ed erano sempre poveri.

I Compitalia erano celebrazioni all’inizio del mese di gennaio e consistevano in cerimonie e processioni per rendere omaggio ai Lares Compitales (compita, dal latino bivio o incrocio), in nome dei quali era usanza porre agli incroci piccoli tempietti o edicole, da cui il cristianesimo prenderà l’usanza di porre le edicole con le statuette di Maria Immacolata. Queste edicole servivano a segnare alcuni margini geografici: l’inizio di un nuovo quartiere o i confini dei possedimenti di terreni agricoli. Queste celebrazioni furono istituite, molto probabilmente, nell’era dei sette re di Roma (tra l’VIII e il VI secolo a.C.) e in epoca repubblicana assunsero il ruolo di feste per chiedere la protezione delle strade (quindi possiamo desumere che si chiedesse la pace interna alla città sia da invasioni esterne che da rivolte civili).

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Sempre nei primi giorni del nuovo mese, più esattamente il 5 gennaio, veniva ricordata la figura femminile di Vica Pota, molto probabilmente di origine sabina, che secondo alcune sovrapposizioni di figure e festività, veniva festeggiata collateralmente ai Compitalia per chiedere appunto la pace per la città di Roma. Nello specifico il santuario della dea Vica Pota, costruito un paio di secoli prima della nascita di Cristo, era sulle pendici del Palatino, proprio nel territorio della famiglia dei Valerii, di origine sabina.

Poco dopo i festeggiamenti in onore di Vica Pota, si festeggiava il primo Agonium (termine che pone l’accento su feste in cui si sacrificavano gli animali, in epoche più remote rispetto alla Roma repubblicana); era il primo di quattro dell’anno e in onore di Giano, dio del passaggio, cioè della fine e dell’inizio delle attività umane e naturali. Questo dio era stato anche il primo governatore del Lazio in epoca preistorica, e viveva sul Gianicolo. Sotto il potere regio dei sette re, questa festività si svolgeva nell’area dell’abitazione del re, dove veniva sacrificato un montone che percorreva autonomamente la strada verso l’altare sacrificale.

Proseguendo col mese, i romani, avevano ancora occasione di celebrazioni e svago verso la metà di gennaio: dai tempi arcaici si celebrava la ninfa Carmenta, secondo alcune versioni della leggenda madre del principe troiano Evandro, il quale era fuggito da Troia e arrivò nel Lazio su un colle che chiamerà Palatino, in onore del figlio Pallante, ucciso dal re rutulo Turno. Carmenta, secondo alcune versioni del mito raccontate da Plutarco nella sua raccolta di biografie di personaggi illustri greci e romani chiamata “vite parallele”, è una ninfa o una divinità ancora più antica che recita profezie i versi, in latino detti “carmen”, cioè “poesie”. Da profetessa donna era molto adorata e celebrata dalle matrone che si avvicinavano al parto, poiché madre di un eroe che in epoca arcaica contribuì alla fondazione dell’Urbe, Evandro. Il tempio di Carmenta, dove venivano officiati i riti pubblici a gennaio, fu eretto vicinissimo alla porta carmentale che dava l’accesso al Campidoglio, ad oggi all’incrocio tra via di Teatro Marcello e Via Jugario.

Veronica Loscrì