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Ancora in silenzio

Esistono due scenari contrapposti. Il primo racconta di un uomo che viene identificato dalle Forze dell’Ordine per aver gridato “Viva l’Italia antifascista” alla prima della Scala, mentre il secondo parla di centinaia di persone inquadrate militarmente in via Acca Larentia, a Roma nel quartiere Tuscolano, che nel pomeriggio del 7 gennaio hanno ricordato la morte, avvenuta nel 1978, di due attivisti di destra uccisi davanti la sede dell’allora Msi, con saluti romani e il grido “presente” ripetuto tre volte, come da tradizione fascista.

Dei due scenari però, seppure è possibile dare diverse interpretazioni, c’è un elemento che risulta tristemente comune: si tratta dell’assordante silenzio del Governo su fatti gravissimi che minano le basi della nostra Costituzione. Un silenzio che purtroppo è figlio dell’applicazione di alcune delle nostre leggi.

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A fronte di quanto abbiamo visto il 7 gennaio (anche se questi episodi si ripetono ogni anno) non ci si può infatti non interrogare sul valore della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana, che vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista, oppure della legge Scelba che dovrebbe attuare questo principio con la previsione dell’apologia del fascismo. Il problema però sta nelle interpretazioni della legge che prevede che un giudice debba appurare che sia in corso un tentativo di fondare un nuovo partito fascista, altrimenti anche un saluto romano è legittimo. Nel 1993 si è cercato di colmare questo vuoto con il decreto Mancino, ma purtroppo anche in quel caso sono state le interpretazioni ad avere la meglio, stabilendo che il saluto fascista non sia reato se non si ravvede il pericolo di rifondazione del partito.

È in questo limbo che risiede il silenzio delle nostre istituzioni, che si affrettano alle cerimonie ufficiali al mattino, per poi lasciare spazio a questo tipo di iniziative, protette da un’interpretazione che fa sempre più male.

Leonardo Mancini