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La responsabilità di informare

Il compito dei media è quello di diffondere qualsiasi tipo di notizia o di censurare alcuni argomenti per evitare il crescere di allarmismi non supportati da alcuna prova?

È ciò che mi sono chiesta dopo il (morboso, a mio avviso) servizio delle Iene riguardante la Blue Whale Challenge. Per chi non sapesse nulla della “balena blu”, si tratta di un’insana competizione composta da 50 prove riguardanti autolesionismo e depressione autoindotta (o meglio, indotta dai curatori, burattinai nascosti nei meandri del web) che ha coinvolto centinaia di adolescenti russi. L’ultima prova: suicidarsi con un letale salto nel vuoto dal palazzo più alto della città. Bufala? Ancora non è chiaro, pare ci siano dei morti reali e una persona (forse) in carcere. I punti interrogativi in questa vicenda sono davvero tanti e tra l’altro si stanno facendo fantasiosi (nonché pericolosi) collegamenti anche su possibili casi in Italia, fondati su una manciata di supposizioni. E allora perché se ne parla?

È un tema delicato e mentre scrivo sento quel disagio tipico di chi sta raccontando qualcosa che non dovrebbe. Mi chiedo se i miei colleghi che ne hanno parlato nei giorni scorsi, si siano pronunciati con lo stesso imbarazzo che muove le mie dita in questo momento. Partire da questa vicenda, però, mi permette di parlare delle responsabilità che il mondo dell’informazione ha nei confronti delle persone. Creare allarmismi non supportati da prove potrebbe alimentare fenomeni di emulazione, escalation di violenza o, semplicemente, un lacerante senso di disagio.

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Analizzare una vicenda significa dover ammettere anche cose scomode, quali l’attrazione dell’essere umano per il proibito che, talvolta, include anche il macabro e la morte. I giovanissimi sono attratti da ciò che non conoscono e non c’è nulla di male fin quando la curiosità non si tramuta in ossessione. Il ruolo delle famiglie e delle istituzioni (soprattutto quella scolastica) è fondamentale e fatti del genere riportano l’attenzione su un problema reale: l’assenza di supporto ai più deboli. Non è una scemenza su internet che uccide le persone, ma la ben più problematica condizione economica e sociale in cui esse sono immerse. E, non ultima, l’indifferenza, la stessa che subiscono ogni giorno gli anelli più precari della catena umana. La vicenda del Blue Whale si è ingigantita al punto di divenire l’alibi per i problemi da cui è afflitto un intero paese. Probabilmente perché è più semplice dare la caccia alle streghe che capire le ragioni profonde di un fenomeno. Mostri che in questo modo torneranno in altre forme e con nuova forza… in questo modo come è possibile difendersi dagli orrori di un mondo che resta sempre uguale a se stesso?

Serena Savelli

Tratto da Urlo n.147 giugno 2017