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L’arte, il mito, la morte

L’editoriale del nostro giornale cartaceo di luglio dedicato a Paolo Villaggio

Tratto da Urlo n.148 luglio 2017

È strano come al mondo esistano dei perfetti sconosciuti che camminano da sempre al nostro fianco. Ogni giorno li ritroviamo in una canzone, una battuta, un’immagine, una storia. Sono i nostri miti, quelli che abbiamo abbracciato durante la nostra adolescenza e che abbiamo realmente compreso durante la maturità. Che siano cantanti, attori, sportivi o artisti, queste persone restano, inconsapevolmente, una parte importante della nostra vita perché con le loro abilità in qualche modo hanno contribuito a formarci, a darci quei piccoli input che ci hanno fatto diventare quelli che siamo oggi.

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Io, di miti, non ne ho mai avuti molti ma di certo ho una cerchia (nemmeno troppo ristretta) di personaggi pubblici che, in un modo o nell’altro, hanno stimolato la mia curiosità intellettuale e il mio modo di approcciarmi alla vita e al mondo. Una di queste persone era Paolo Villaggio.

Benché sia ricordato perlopiù per il Fantozzi cinematografico o per esprimere le sue idee in modo violento, scorretto e senza perbenismo alcuno, Villaggio è stato soprattutto un finissimo letterato e un ottimo sceneggiatore, oltre che un attore rispettabile che, durante la sua carriera, ha lavorato con registi del calibro di Fellini, Ferreri e Monicelli. Eppure quella maschera teneramente patetica incarnata dal ragioniere più famoso di sempre è divenuta parte dell’immaginario collettivo, del tessuto culturale italiano, spesso alla ricerca di uno specchio tipicamente neorealista in cui specchiarsi.

Il legame di Paolo Villaggio con la nostra città era forte e Roma è stata cornice imprescindibile delle avventure di Fantozzi. Indimenticabile il posto di lavoro del ragioniere, la sede della Regione Lazio a Garbatella, o le infinite location trovate tra i palazzi di Testaccio. O, ancora, le scene sulla tangenziale, in cui l’autobus veniva preso “al volo”. Qualcosa di talmente vivido nella mente di ciascuno di noi da meritare una petizione su Change.org per intitolare all’attore scomparso l’importante arteria capitolina. E ancora: la basilica di San Pietro e Paolo, lo Stadio Flaminio (allora ancora operativo), il complesso del Buon Pastore a Bravetta, la Stazione Ostiense, gli studios di Cinecittà.

Oggi la morte di Villaggio “non è un gioco, non è letteratura, ma la terribile realtà”, proprio come egli stesso disse in occasione della scomparsa del suo amico d’infanzia, Fabrizio De André. A noi non resta, ancora una volta, di essere spettatori di una vita votata all’arte che lascia il suo segno nel nostro tessuto culturale e che, di certo, resterà per sempre pulsante e vivace nella nostra memoria.

Serena Savelli