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Ricostruzione

amatrice sisma

Dopo il terremoto del 24 agosto

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Editoriale tratto da Urlo n.138 settembre 2016

Lo scorso 24 agosto siamo stati testimoni della grande tragedia del terremoto che ha colpito Amatrice, Accumoli e Pescara del Tronto, oltre ad altre piccole frazioni che hanno subito danni più o meno gravi. I morti sono stati tanti, 296 vittime, fra cui molti romani che erano lì in visita ai parenti o semplicemente avevano in quei luoghi la casa dove trascorrere qualche giorno di vacanza. Molti di noi hanno perso qualcuno, un parente, un amico o un semplice conoscente. E, c’è da dirlo, quando si sa che qualcuno che conoscevamo è rimasto travolto da questo destino infame, tutto diventa meno lontano e lo schermo di un televisore o di un computer a fare da filtro tra noi e la realtà non esiste più. Resta solo un grande senso di desolazione e di impotenza, oltre che una grande tristezza.
Siamo un popolo che prende le cose “di pancia” e lo abbiamo dimostrato ancora una volta nello sfrenato tentativo di aiutare. Abbiamo fatto di tutto, dai 2 euro via sms alle raccolte di beni primari, fino alla donazione del sangue o ai versamenti di denaro. Ci siamo ritrovati ad essere parte attiva di una gara alla solidarietà e abbiamo dimostrato quanto, e non è scontato dirlo, l’unione fa la forza mentre l’indifferenza, purtroppo, resta il più grande male della nostra società.
Oltre 5000 scosse hanno fatto tremare quel pezzo d’Italia dalla sciagurata data del disastro. La nostra nazione è sismica, è questa la realtà, ed è ovvio che bisognerebbe prendere dei provvedimenti. Poi si può discutere sull’incuria, sulle manutenzioni che non vengono fatte, sulle regole che troppo spesso vengono trasgredite, sullo Stato assenteista e sui cittadini che devono quasi sempre cavarsela da soli, con i propri mezzi e contando su uno spalleggiamento proveniente (quasi) esclusivamente dal senso di comunità. In virtù di ciò sono tante le ovvietà che sono state riportate anche dalla stampa estera, derivanti da semplici luoghi comuni, o le informazioni errate derivate dall’odio e dall’ignoranza. Non voglio citare alcun caso di “webetismo”, come direbbe Mentana, perché non è degno di nota e non è giusto che oscuri ciò che è emerso da questa orribile esperienza. È il popolo che fa il suo Paese. Non trovo miglior termine per chiamare questo particolare momento che stiamo vivendo se non “ricostruzione”: di edifici, di ponti, di strade, ma soprattutto di identità. Le tragedie ci insegnano tanto, è nostro dovere farne tesoro. Per affrontare tali eventi con maggiore forza, per dire “no” a ciò che ci mette in pericolo e per consolidare un senso comune che vada al di là degli interessi privati e ponga finalmente al centro ciò che di più prezioso ha un paese: la sua comunità.

Serena Savelli