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Aquaelicium, quando a Roma si invocava la pioggia

Nelle ultime settimane, su tutta l’Italia, sembra essere arrivata l’estate, ma nei giorni precedenti, sulla maggior parte del paese, si era scatenata la furia della pioggia tanto da sembrare che si fosse celebrato il rito della pioggia, come nell’antica Roma.

Una manalis lapis, ovvero la pietra della pioggia, veniva fatta rotolare dal più antico tempio dedicato a Marte, che si trovava appena fuori le mura di Porta Capena sulla via Appia. In questo tempio, o nei pressi, si radunavano le truppe prima di partire per la guerra, oppure, tornando dalle imprese militari, i soldati lasciavano le armi prima di entrare nell’Urbe.

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Il tempio di Marte venne costruito nella prima metà del IV secolo a.C. come voto di un console, ma oggi non rimane più niente se non un bassorilievo e le parole di alcuni storiografi, come Tito Livio, e quelle di Cicerone, che parla di una statua del dio della guerra.

La manalis lapis veniva spinta fino al tempio di Giove Capitolino, sul Campidoglio, un’opera monumentale dedicata anche ad altre due divinità, cioè Giunione e Minerva. Di questo tempio, ad oggi, restano poche parti visibili (anche a causa delle depredazioni da parte dei cristiani), cioè le fondazioni del tempio, la cui costruzione dovrebbe essere stata voluta dal Re etrusco Tarquinio Prisco alla fine del VI secolo a.C.

Il rito continuava con le matrone romane che cantavano inni a Giove, senza sandali e con i capelli sciolti, tutto per chiedere l’arrivo della pioggia. Come molte processioni rituali, questa terminava proprio al tempio di Giove, dove i magistrati si levavano la toga color porpora che apparteneva agli uomini adulti di alto rango ed infine venivano condotte le spighe tagliate dal seme, come a voler chiedere la fine della siccità e il ritorno della pioggia che annaffiasse i raccolti.

La manalis lapis del tempio di Marte, forse, è la stessa o il doppione della pietra legata alla leggenda della fossa circolare che metteva in comunicazione il mondo dei vivi con quello dei morti. Questa seconda pietra, a Roma, era posizionata sul foro Romano in un punto ideale centrale della fondazione della nuova città, che è indicato come “l’ombelico dell’Urbe”, dove la pietra divide il mondo dei morti da quello dei vivi. Questa pietra veniva alzata solo tre volte durante l’anno per permettere alle anime dei Manes di contattare i vivi che portavano in dono i frutti della terra. Quindi due pietre col medesimo nome avevano però una destinazione diversa.

Entrambe queste feste o ritualità avevano origini etrusche, cultura a cui la romanità deve tantissimo sin dalla propria nascita.

Pregare per l’avvento della pioggia a volte fu propizio, come per l’esercito condotto da Marco Aurelio, imperatore romano della seconda metà del III secolo d.C.: stremato dalla marcia e da altre piccole sconfitte, l’arrivo di una pioggia ristorò i militari dalla fatica e dalla siccità e permise loro di vincere contro i barbari germani in suolo italico. Di questo episodio abbiamo poche fonti storiche, come quella di Cassio Didone e quella di un monaco bizantino chiamato Giovanni vissuto nel medioevo. Entrambi riportano l’accaduto come volontà divina: il primo per volontà degli dei pagani, il secondo per la volontà del Dio cristiano. Non a caso Marco Aurelio fu un imperatore molto contrario al nuovo culto cristiano, quindi la diatriba tra i due culti era accesa e sentita in quel periodo storico. Questo episodio è addirittura cantato da Murubuntu, all’anagrafe Alessio Mariani, cantautore e professore italiano, nella canzone “Legio XII fulminata”, dall’album del 2022 “Storie d’amore con pioggia e altri racconti di rovesci e temporali”:

Ogni estate è così calda che quasi incendiava l’aria

La legione fu accerchiata, venne chiusa ogni sua via

L’orda barbara aspettava pronta con la lama salda

Che perdesse ogni speranza fino alla follia

Umani bruciati dal caldo, il Sole ora parve una falce

Il villaggio bruciava sul campo e ardeva su elmi e corazze

Ed i Quadi aspettavano intanto, posti là in mezzo alle fratte

A dare il colpo di grazia con colpi d’ascia e di mazza

Ma un mago dei Romani invocò i demoni pagani

Inondarono la piana, sì, con nembi e temporali

L’acqua che scendeva immane e dissetava i legionari

Che lottavano bevendo dentro gli elmi insanguinati

Differente situazione vede le preghiere degli italiani esaudite con un sole estivo, ogni tanto coperto dalle nuvole, ma che speriamo aiuterà le città colpite dall’alluvione in Emilia Romagna.

Veronica Loscrì