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Lo smaltimento dei rifiuti nell’antica Roma, tra ecologia e riuso

Immaginiamo Roberto Gualtieri, attuale sindaco di Roma Capitale, come console dell’antica Roma: in questo momento il Consiglio dei Ministri, che potremmo immaginare come il Senato, ovvero un’assemblea dei politici più anziani, ha concesso al Sindaco forti poteri nei confronti dell’impianto di smaltimento rifiuti, cioè il termovalorizzatore di Santa Palomba. In poche parole Gualtieri sta vivendo una situazione simile a quella di Gaio Giulio Cesare, che nel 44 a.C. riuscì a prendere pieni poteri e diventare dittatore (mentre Gualtieri ha invece ottenuto poteri straordinari soprattutto in tema di energia).

Un tema, quello del termovalorizzatore, che è al centro di molti dibattiti politici nei comuni di Roma Sud e dei Castelli Romani: molti cittadini hanno partecipato a manifestazioni e molti partiti si sono palesemente schierati contro la realizzazione di questo impianto brucia rifiuti proprio in quel lotto, vicino a tante aziende agricole e dedite all’allevamento. Proprio vicino a questa zona, conosciuta come Santa Palomba, sorgono le pozze sulfuree che danno il nome di Solforata a quell’area urbana nel comune di Pomezia, ed in questi luoghi, fino a 40 anni fa, le aziende scaricavano tanti materiali inquinanti. Ma ora è considerata area protetta.

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Ormai è un dibattito preminente e quotidiano quello della responsabilità di ognuno di noi di essere cittadini con senso e valore civico nei confronti dei rifiuti che produciamo, e che vanno quindi smaltiti. Poco più di duemila anni fa gli abitanti di Roma erano circa un milione e mezzo, oggi siamo quasi il doppio, quindi i rifiuti non solo sono aumentati, ma sono una sorta di “rifiuti di nuova generazione”: tutti quelli non naturali creati dall’ingegno dell’uomo, come la produzione di carta e plastica, senza considerare rifiuti fatti di materiali misti.

Gli antichi romani erano davvero in gamba a riciclare, figuriamoci che nel medioevo addirittura molte parti di edifici romani vennero reimpiegate per creare nuove strutture architettoniche, di uso comune o abitative.

A poche decine di anni dalla nascita di Cristo, sotto l’impero di Augusto, venne istituita una legge per la quale ogni abitante di una casa o proprietario di una bottega doveva occuparsi di pulire lo spazio davanti la sua proprietà, e soprattutto vennero nominati i curatores viarum che dovevano occuparsi della manutenzione sia delle strade nell’Urbe, che di quelle periferiche e le grandi strade che collegavano il nuovo impero.

Le acque nere degli scarichi pubblici e delle ville dei patrizi, invece, confluivano nella Cloaca Maxima, una serie di fogne costruita alla fine VI secolo a.C., eppure molte persone defecavano e urinavano in strada in maniera così indiscreta che venne emanata una legge per punire questi incivili. Anche più di duemila anni fa, noi romani, non eravamo un grande esempio di cittadini civici: spesso le strade venivano ricoperte da uno strato di rifiuti lanciati dalle finestre, oppure da alcuni cadaveri lasciati insepolti per scherno anche nel momento della morte; per questi motivi Augusto diede dei compiti istituzionali ai responsabili della cura delle strade.

Eppure, per alcuni rifiuti e materiali, nell’antichità era più facile pensare al riciclo che allo smaltimento: ceramiche, metalli, vetri, materiali edili venivano reimpiegati rifondendoli o come materiale di riempimento nell’edilizia; avanzi di cibo ed escrementi erano utili per nutrire animali e fertilizzare i terreni.

La maggior parte delle fosse o discariche, che oggi gli archeologi sono ben lieti di studiare, ospitavano ceramiche, anfore e statuette votive, accumulate fuori città quando diventano troppe nei luoghi di culto.

Il pianeta Terra ebbe il vero colpo di sferza nell’Ottocento con l’industrializzazione e l’aumento dei rifiuti nocivi ed inquinanti e delle sostanze insalubri che purtroppo ci ha portato al quasi collasso ambientale a cui oggi siamo chiamati a mettere un freno e a trovare una soluzione.

Veronica Loscrì