Si avvicina il primo aprile, il giorno tradizionalmente legato al pesce d’aprile: uno scherzo che ha lo scopo di mettere in imbarazzo la vittima o anche un semplice modo per divertirsi tra amici.
Le origini di questa consuetudine non sono chiare. Alcuni studiosi la ritengono in qualche modo legata al mito di Proserpina, la quale fu rapita sulle rive del Lago Pergusa ad Enna da Plutone di cui divenne sposa e con il quale governò sugli Inferi. Secondo altri esperti la tradizione del primo aprile è legata ad una festa pagana di Venere Verticordia. Secondo una terza ipotesi il pesce d’aprile potrebbe essere legato al Capodanno che ai tempi di Roma Antica si celebrava in questo periodo.
Dato l’approssimarsi della ricorrenza dedichiamo questo spazio allo spirito dei Romani. Conosciamo alcune delle barzellette che circolavano in quel periodo grazie soprattutto al Philogelos (“amante del riso”): una raccolta di storielle umoristiche scritte in greco e compilata intorno al V Secolo d.C. Secondo alcuni studiosi l’opera è da attribuire a due autori distinti: il filosofo alessandrino Lerocle e il grammatico Filagrio. Nel manoscritto, paragonabile in un certo senso ad un libro di barzellette, i raccontini sono raggruppati per categorie in cui sono protagonisti alcuni personaggi con qualche problema caratteriale come: il burbero, l’avaro, il vigliacco, l’invidioso ma soprattutto il saccente a cui sono dedicate quasi la metà delle barzellette. Una delle caratteristiche dei Romani era infatti quello di lanciare motteggi o spiritose maldicenze che Orazio definiva “Italum Acetum” (aceto italico).
Domizia, moglie del console Passiéno e zia di Nerone, aveva fama di taccagna. Giunio Basso diffuse la voce che la donna vendesse le scarpe smesse anziché regalarle alle schiave. Domizia protestò. Basso le avrebbe risposto: “Ma no. Io non ho mai detto che vendevi le scarpe vecchie. Ho detto che le… compravi”.
Massimiliano Liverotti