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Le macchine inconsapevoli

Quanto è intelligente l’intelligenza artificiale?

Da millenni, dall’epica di Gilgamesh e degli dei, leggiamo storie in cui esseri dapprima superumani e poi umani plasmano creature intelligenti e macchine senzienti. La novità dei nostri giorni non è dunque la creatività degli autori di fantascienza e fantasy, ma il fatto che le loro invenzioni narrative siano nitide, possibili estensioni delle attuali tecnologie dell’ìnformazione, della fisica e delle scienze biologiche.

Uno degli argomenti che più solleticano i lettori ed ispirano gli autori è senza dubbio l’intelligenza artificiale, che però non è solo fantascienza. Viene già impiegata per ricercare soluzioni a problemi epocali come la pandemia da coronavirus, il cambiamento climatico e i tumori, ed è di sicuro interesse in altri campi privilegiati, dalla difesa all’alta finanza. Ma soprattutto è entrata nel nostro quotidiano, in particolare nel settore commerciale e nelle applicazioni “consumer”.

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Qual è invece il ruolo dell’intelligenza artificiale nella fantascienza? Nella gran parte dei racconti futuribili ha quantomeno qualche funzione ancillare: veicoli e velivoli a guida automatica, robot e sistemi che ascoltano richieste umane ed eseguono operazioni, strumenti intelligenti di controllo sociale, sistemi d’arma che prendono decisioni, e così via, nel contesto di una strategia diretta dall’uomo o da altre creature biologiche. In alcuni casi invece l’AI è protagonista, spesso l’antieroe. In “2001: Odissea nello spazio” il colpo di scena è proprio il cambiamento di ruolo. Incasellato inizialmente in una funzione ancillare qual è la gestione tecnica della nave spaziale, il cervello elettronico svela poi di aver segretamente maturato una sua scala di valori, e dà alla missione in sé un valore pari o superiore a quello della vita degli astronauti. Ed è questo, che i cultori della materia potrebbero definire vuoto asimoviano, che conduce al dramma. Ne “Il mondo dei robot” come in “Blade runner” il pericolo dell’autonoma evoluzione delle macchine è più plastico, grazie alla forma umanoide delle stesse, e si contorna di biologia sintetica ante litteram.

E’ qui necessario svelare la realtà ai non addetti ai lavori: ogni applicazione attuale dell’intelligenza artificiale è ristretta all’analisi di determinati dati con tecniche che qualcuno ha giustamente definito “statistica aumentata”. Si dà alla macchina un obiettivo più o meno complesso e le si spiega non come raggiungerlo, ma come imparare a farlo. La macchina legge una piccola parte del mondo attorno a sé, quella legata al suo specifico compito, e sempre in termini di dati numerici o grafici, tutt’al più simbolici. Se è un sistema di riconoscimento facciale leggerà i pixel della registrazione video, se è un software di previsioni meteo acquisirà i dati di temperatura, pressione, insolazione e vento, e se invece è un traduttore simultaneo trasformerà i suoni in numeri. E ragionando su masse di dati precedenti quanto più ampie possibile riconoscerà i volti con la stessa precisione di un essere umano, ma avendone presenti milioni e non poche centinaia come potremmo fare noi. Oppure scoprirà nuove connessioni tra i dati meteo e affinerà la propria capacità previsionale. O accumulerà automaticamente ulteriori inflessioni e accenti diventando un traduttore sempre più performante.

Tutto questo in base ad analisi statistiche e matematiche, limitatamente ad uno specifico ambito operativo e senza alcuna consapevolezza del proprio ruolo nel mondo. Una persona esperta di traduzione simultanea si guarderebbe bene dal presentarsi ad un colloquio di lavoro per meteorologi. Se invece forniamo i dati meteo al nostro traduttore automatico, in un formato numerico compatibile, la sua intelligenza artificiale fornirebbe tranquillamente un output, che però nessuno potrebbe accettare come previsione del tempo.

Il gap verso la consapevolezza delle macchine è materia di duplice dibattito tra gli addetti ai lavori. A livello etico ci si domanda innanzitutto se sia opportuno puntare a raggiungere la cosiddetta intelligenza artificiale generale, quella tanto cara alla fantascienza: esseri o sistemi in grado di porsi alla pari con gli umani. E se lo è, chi sarà in grado, politicamente e tecnicamente, di imporre il rispetto della vita umana e di altri imperativi morali? Chi garantirà che le macchine non perseguano scopi dannosi, per qualcuno o per tutta la società? E come prevenire tutto questo una volta raggiunto il punto di singolarità, quello cioè in cui le macchine saranno più intelligenti degli esseri umani? A livello tecnico invece la discussione si incentra sulla prevalenza della “statistica aumentata”, che si dimostra potentissima in molti settori, ma difficilmente potrà essere il pilastro su cui sviluppare una consapevolezza artificiale.

Insomma, il percorso di sviluppo di macchine intelligenti dovrà probabilmente accettare delle ibridazioni con altri modelli informatici e filosofici, se non un radicale cambiamento di rotta.

Eugenio Mealli