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La geniale idea del Tenente Sulu

Storia di suprematisti, Presidenti, skinheads, diritti e tenenti stellari

Tratto da Urlo n.183 Ottobre 2020

C’è una vicenda che dopo il dibattito per le Presidenziali sta infiammando l’opinione pubblica statunitense. Si tratta del rapporto del Presidente Trump con gruppi xenofobi, suprematisti e di estrema destra come i ‘Proud Boys’. Nati nel 2016, proprio in sostegno alla candidatura di Trump, sono diventati rapidamente un’organizzazione suprematista per soli uomini, i cui membri si sono resi protagonisti di aggressioni contro i manifestanti del movimento Black Lives Matter. Trump durante il dibattito non ha risposto alla richiesta di condanna per le azioni del gruppo, per poi ritrattare dopo che molte voci indignate si sono sollevate anche nel suo partito.

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Cercando di non pensare alle simpatie del Presidente USA, ci sono due aspetti di questa vicenda che ci devono far pensare e sono legati l’uno alla moda e l’altro alla battaglia per i diritti delle persone Lgtbq.

I Proud Boys hanno reso la loro ‘divisa’ una versione della maglietta della inglese Fred Perry. Un capo d’abbigliamento che, come ha dichiarato l’azienda, “è un pezzo della sottocultura britannica, adottata da vari gruppi di persone che riconoscono i propri valori in ciò che rappresenta”. Negli anni Sessanta era uno dei simboli del movimento skinhead che, rispetto all’immaginario comune, nasce apolitico e antirazzista, e solo più avanti in alcune frange ha assunto caratteri estremisti e neonazisti. La Fred Perry ha deciso di prendere le distanze dai Proud Boys, ritirando dal mercato statunitense e canadese la maglia e dando mandato ai suoi legali di perseguire qualsiasi associazione con il logo dell’azienda. Speriamo che non si vada a creare un morboso sottomercato di memorabilia, e che la maglia non ne diventi uno dei prodotti più ricercati dai suprematisti bianchi a stelle e strisce.
L’altro risvolto della vicenda parte da un tweet di George Takei, il Tenente Sulu della serie televisiva Star Trek, noto attivista della comunità Lgtbq, che ha proposto di giocare con il nome del gruppo suprematista: “Che succederebbe se i gay si facessero foto mentre si baciano o fanno cose molto gay, e poi usassero il tag ProudBoys? Scommetto che li metterebbe davvero in crisi”. E così è stato. L’invito è stato raccolto a livello globale e ormai sui social il tag #ProudBoys è stato definitivamente ‘rubato’ ai suprematisti, sostituendo slogan e immagini violente, con baci, abbracci, arcobaleni e tramonti.

Cosa resta di questa vicenda? Solo la convinzione che l’opinione pubblica, anche se legata ai social e ai contatti digitali e sempre meno personali, conta ancora qualcosa. E questo è sempre vero, che tu sia il Presidente degli Stati Uniti costretto a ritrattare le sue affermazioni, una multinazionale dell’abbigliamento che per evitare un danno d’immagine ritira un suo prodotto su due dei mercati più importanti, o un suprematista bianco travolto dalla geniale trovata del Tenente Sulu.

Leonardo Mancini