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Sailor Free – Spiritual Revolution

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Gli strumenti della nostra rivoluzione spirituale

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“[…] Noi usiamo lo stesso identico sistema di simboli per comunicare tutti i fenomeni astratti o intangibili che si verificano nella nostra vita. […] Quando dico la parola amore il suono viene fuori dalla mia bocca e colpisce l’orecchio dell’altra persona, viaggia attraverso un intricato percorso che porta al cervello attraverso i ricordi d’amore o di mancanza d’amore e l’altra persona registra quello che dico e dice di capire, ma io come faccio a saperlo? […] una grandissima parte di tutta la nostra esperienza è intangibile, gran parte di quello che percepiamo non può essere espresso con le parole. Eppure quando noi comunichiamo l’uno con l’altro, e percepiamo di avere stabilito un contatto, e capiamo di essere stati capiti, secondo me proviamo una sensazione quasi di comunione spirituale. Ed è forse una sensazione transitoria ma è ciò per cui viviamo”. Waking life (2001) di Richard Linklater

Se l’espressione è forma comune a tutte le culture e filo conduttore di tutte le forme artistiche, è perché trasversali a tutte le culture e le forme artistiche sono gli oggetti stessi dell’espressione: amore, morte, conflitto, viaggio… In due parole: uomo e vita. E i periodi di crisi culturale – come quello che ci troviamo a vivere – sono spesso accompagnati da (e a loro volta accompagnano) momenti di crisi dei valori che questi concetti e tutte le loro declinazioni portano al loro interno. E vedere che c’è chi propone un suo punto di vista sulla questione attraverso ciò che sa fare meglio – musica, quindi arte – non è cosa da poco, in un periodo nel quale la cultura non ha mai prodotto così tanto dal punto di vista quantitativo, ma ha trasformato il tutto in un’industria, in un blob impersonale che esalta la possibilità del produrre, prima ancora del cosa si va a produrre. La consapevolezza dei Sailor Free – e in primis del produttore e frontman David Petrosino – che entrambi gli aspetti debbano muoversi insieme e di pari passo è un bellissimo esempio (ci auguriamo sempre più seguito) di come per fare musica servano essenzialmente due cose: avere qualcosa da dire e saperlo fare. Nel loro caso il qualcosa non si limita a smuovere la superficie degli individui e a muoversi tra gli istinti più bassi degli ascoltatori, ma è rivolto ad agire in profondità, a risvegliare le coscienze da troppo tempo sopite di chi alla “industria culturale” ha demandato non solo la costruzione del proprio spirito critico, ma anche della propria spiritualità, ridotta ad un ammasso di simbolismi di varia derivazione, spesso privati del loro significato più vero e sempre più proposti come vuoti altarini. “Spiritual Revolution – part one” (2012) e l’appena uscito “Spiritual Revolution – part two” propongono nei testi e nella musica il recupero di suggestioni dal sapore anche antichissimo in chiave estremamente moderna: la proposta dei Sailor Free ha la libertà e il respiro dei grandi gruppi progressive degli anni ’70, facendo coesistere la grandissima capacità di plasmare la musica al di fuori delle strette gabbie dei generi con messaggi di enorme profondità, da scoprire lentamente ad ogni nuovo ascolto e da far entrare lentamente ad ogni nuova riflessione.

Flavio Talamonti