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Gli antichi acquedotti di Roma

È finalmente giunta la primavera e con lei l’inizio di domeniche nei parchi. Tra questi uno dei più suggestivi è quello degli Acquedotti, situato tra via Appia Nuova e via Tuscolana, che ospita, come il suo stesso nome dice, numerosi acquedotti romani sia visibili, perché costruiti in elevato, che sotterranei, portati a Roma a distanza di decenni l’uno dall’altro.

Oltre ad ammirarli nella loro maestosità, è interessante scoprire cosa si cela dietro queste imprese architettoniche. Il Parco degli Acquedotti vede la presenza del secondo più antico acquedotto romano l’Anio Vetus (Aniene vecchio) costruito attorno al 270 a. C., mezzo secolo dopo il primo l’Aqua Appia (acquedotto Appio, non presente nel parco). La figura amministrativa che si occupava della costruzione degli acquedotti era affidata a un censore, la carica da magistrato più elevata in epoca repubblicana. Nel I secolo d. C. l’imperatore incaricava personalmente un “curator aquarum” che aveva pieno potere sulla gestione dell’apparato idrico dell’Urbe, per poi chiamarsi “consularis aquarium” due secoli dopo. Il curatore del sistema idrico doveva dapprima trovare sorgenti con una determinata qualità d’acqua e poste abbastanza in altezza da scorrere verso valle attraverso i condotti; infatti le tubazioni erano studiate per avere la giusta inclinazione e un dislivello continuo rispetto alla sorgente, al fine di arrivare a Roma con un’ottima pressione. I costruttori si dovevano anche preoccupare di far giungere la giusta quantità di rocce, tra cui il tufo, operazione che richiedeva anche diversi anni, tempo che si doveva aggiungere a quello di costruzione degli acquedotti. Bisognava inoltre capire quando dare a queste opere un percorso sotterraneo o in altezza, oltre che individuare i giusti accessi ai condotti per la manutenzione ordinaria, predisponendo un piano urbano di raccolta e distribuzione delle acque nelle varie dislocazioni cittadine.

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Roma divenne “regina aquarum” (regina delle acque) quando la popolazione iniziò ad aumentare e il solo Tevere non fu più sufficiente a soddisfare le necessità idriche della città; i lavori e il loro risultato stupirono così tanto i cittadini che gli storici, e alcuni addetti ai lavori, scrissero con grande trasporto di questi impianti idrici.

L’acqua a Roma serviva per tantissimi scopi: rifornire le terme e dissetare i cittadini, far funzionare gli scarichi fognari e muovere macchinari per operazioni edili e industriali. I condotti, che in epoca romana dovevano soddisfare le necessità di circa 1 milione di abitanti, durante il Medioevo finirono in disuso, sia per la mancanza di manutenzione affidata a delle figure la cui sapienza tecnica scomparve a causa della decimazione della popolazione, sia per le distruzioni a opera dei popoli invasori dell’Europa e del vicino Oriente.

Allora c’era una grande attenzione ai materiali usati per la conduzione dell’acqua potabile attraverso gli acquedotti, fattore che forse oggi manca. Quindi, ancora una volta, l’antico ha una morale che ci insegna a migliorare come comunità.

Veronica Loscrì