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La porta di Giacomo Manzù a San Pietro

meraviglie 139 - porta di manzu

Una delle meraviglie della Basilica romana

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Nel 1947 Papa Pio XII promulgò un bando di concorso per le porte di San Pietro, che fu vinto dallo scultore Giacomo Manzù. Di origine bergamasca, era già conosciuto nel mondo dell’arte e della curia per la sua produzione di sculture monumentali che rappresentavano i Cardinali e per i suoi bassorilievi dedicati al tema della Deposizione, esposti a Milano nel 1941. 

Considerati questi ultimi insolenti e irrispettosi della tradizione iconografica religiosa, gli valsero l’inclusione nella rosa di artisti “indegni” per il Santo Uffizio, come successe al pittore Renato Guttuso. Intercorreva un rapporto sofferto tra lo scultore e la curia romana che rispecchiava anche il tormentato rapporto personale dell’artista con la fede e con le sue idee socialiste. Quest’opera infatti lo impegnerà per circa vent’anni, dal 1947 fino al 1964, facendolo cadere in continue crisi, ripensamenti e abbandoni, risultando alla fine un capolavoro della scultura contemporanea e la più bella delle porte della Basilica. Lo scultore riuscirà a riacquisire la voglia di lavorare a quest’opera grazie ai lunghi colloqui e al rapporto di stima e amicizia che lo legherà al successivo Papa Giovanni XXIII Roncalli, il Papa Buono, grazie al quale si ebbe il Concilio Vaticano II, che rivoluzionò la Chiesa Cattolica.

Proprio nel corso di questi lunghi colloqui con il nuovo pontefice, lo scultore veniva autorizzato a modificare il tema della porta: non più “il trionfo dei martiri e santi della chiesa”, ma il soggetto scelto fu quello della “morte”, interpretandolo e illustrandolo non solo come un passaggio che conduce al giudizio divino, ma esprimendolo anche in tutto il suo significato terreno. Restando perciò fedele alla naturale rappresentazione delle figure e del soggetto, l’opera è carica di poesia e, pur guardando alle più classiche tradizioni scultoree, ne rifiuta palesemente gli aspetti accademici.

Sul retro, visibile dall’interno della basilica quando la porta è chiusa, è raffigurato l’episodio principale del pontificato di Giovanni XXIII: l’apertura del Concilio Vaticano II. Il lungo pannello ritrae la solenne processione dei prelati in cui si riconoscono due figure: il pontefice sulla destra e, più a sinistra, un monsignore che esce di spalle, don Giuseppe de Luca, consigliere iconografico dello scultore.

Il recto è invece diviso in due zone. Sul battente destro in alto è raffigurata la Morte di Cristo con il corpo di Gesù esamine. Nella parte inferiore si susseguono: la Morte di Abele, di San Giuseppe, di Santo Stefano e di Papa Gregorio VII.

Sul battente sinistro in alto è raffigurata la Morte di Maria: qui la scena si sviluppa tutta in verticale, con i due angeli che scendono verso la donna riversa a terra esprimendo grande dinamismo, soprattutto nelle vesti svolazzanti degli angeli. Nella parte inferiore sono rappresentati episodi universali non legati alla cristianità ma agli orrori della storia: la Morte per Violenza (che ricorda l’uccisione di un partigiano), la Morte nello Spazio, la Morte sulla Terra, che raffigura la sua compagna, e infine la morte di papa Giovanni XXIII come omaggio verso quel pontefice che tanto lo aveva aiutato e che non era riuscito a vedere l’opera compiuta.

La porta rappresenta il fulcro dell’opera e della ricerca dello scultore bergamasco, che grazie alla sua produzione artistica seppe esprimere i tormenti e la crisi di un’Italia che usciva dal fascismo e da lunghi anni di guerra e di dittatura, di un’Italia divisa tra ateismo e cristianesimo, fascismo e comunismo, passato e futuro e che seppe grazie a questa sua opera esprimere la volontà di cambiamento anche della Chiesa Cattolica che, con Papa Roncalli e con il Concilio Vaticano II, cercava anch’essa di proiettarsi verso il futuro e verso la ripresa di valori più profondi e universalmente condivisibili.

Emanuela Maisto