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Porti e stazioni: i viaggi nell´antica Roma

Tanto tempo fa lessi una bellissima frase sul viaggio che diceva “tutti devono viaggiare per avere la possibilità di tornare” e negli ultimi giorni avevo deciso di cercarne la fonte. Facendo delle ricerche su Google, noto che le prime due pagine sono relative al Covid-19. Alcuni titoli della ricerca citano “torneremo a viaggiare?”, “verso quali Paesi è facile viaggiare per un italiano?”, così mi sono chiesta su come si viaggiasse nell´antica Roma. Nonostante non ci si muovesse velocemente come ai giorni d’oggi, l´uomo, che fosse nomade o un cittadino libero, non ha mai rinunciato a spostarsi, conoscere posti nuovi, visitare i suoi luoghi preferiti, far visita ad amici e familiari lontani. Lo stupendo intreccio di strade romane aiutava a velocizzare gli spostamenti, ma cerchiamo di capire come i cittadini si spostavano sia dentro la città che fuori. Pochi decenni prima della nascita di Cristo anche Cesare aveva disposto il “blocco del traffico”, non per inquinamento, naturalmente, ma per evitare che in città ci fossero troppi animali e quindi escrementi che sporcassero le strade, oltre che per evitare che il rumore dei carri sui sanpietrini disturbasse il sonno dei cittadini. Chi arrivava nell´Urbe su un carro si doveva fermare alle porte della città, a meno che non si trattasse di trasporto di materiale per lavori pubblici o di religiosi. Queste “Porte” erano aperture nella cinta muraria che proteggeva la città ed erano il raccordo tra le più importanti strade che collegavano il centro al resto del mondo fino ad allora conosciuto. Come in “Vacanze romane” con Gregory Peck e Audrey Hepburn, il cittadino poteva noleggiare (suppongono alcuni storici) la Vespa Piaggio dell’epoca: la lettiga, un letto a baldacchino con tendine trasportato da schiavi o poveri, sopra il quale il ricco cittadino era semisdraiato, mangiava e scriveva per occupare il tempo durante il trasporto. Fuori dalla città gli spostamenti erano su due o quattro ruote, su vari tipi di calessi e carri. Quelli a due ruote erano usati per spostamenti veloci, mentre se un cittadino voleva muoversi e soggiornare per un lungo tempo in altre località, come i giovani che andavano a completare la loro istruzione fuori casa o le famiglie che si spostavano verso le case estive o invernali, si usavano carri su quattro ruote: il raede ed il carpentum, molto usato dalle matrone e dalle imperatrici; invece le carrucae dormitoriae anticiparono l’idea del camper. Lungo le strade romane, che permettevano agli eserciti e alle merci il passaggio, venivano costruite a distanze regolari le mansiones (dal verbo latino mansio, fermarsi o risiedere) che erano usate per ospitare ufficiali statali. Il comune cittadino era destinato a stazionare nelle cauponae, cioè ostelli di dubbia qualità. Per i patrizi nacquero le tabernae, un po’ più lussuose delle cauponae, ma che comunque non godevano di grande reputazione. Questo spinse i ricchi a mandare i figli in oriente con delle navi. I cittadini dell’Urbe non potevano che partire da Ostia, il suo era un vero e proprio portus, diverso dalla plagia che era un’insenatura naturale priva di modifiche antropiche. Il viaggio in mare salvava i patrizi dal dover soggiornare per tante volte nelle tabernae frequentate da chissà quali individui, e questi viaggi erano possibili con navi proprie di contenute dimensioni, o con mercantili pagando il passaggio.

Veronica Loscrì

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