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La citta’ (non piu’) eterna

Non voglio fare uno dei soliti discorsi qualunquisti, ma rientrare alla base dopo qualche giorno di spensierata permanenza all’estero sembra la fine del mondo.

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E l’aeroporto di Fiumicino è l’anticamera dell’inferno. Un pensiero che accomuna i viaggiatori con un po’ di spirito critico, che prima o poi si ritrovano a fare un bilancio dei pro e i contro del vivere in Italia rispetto a una qualsiasi altra parte del mondo. I giovani vorrebbero fuggire e rifiutano drasticamente le loro origini, i più navigati sono rassegnati a trascorrere una vecchiaia di ristrettezze mentre maledicono i piani alti e le loro nuove manovre che attingono con nonchalance nelle nostre tasche, e gli anziani rammentano di quanto “si stava meglio quando si stava peggio”, negli anni dove per colazione si mangiava la minestra riscaldata della sera prima. Confortante.

Ho sempre pensato che sia superficiale valutare la bellezza o la vivibilità di un paese solo trascorrendoci qualche giorno da turista, con la carta di credito in tasca, tempo libero a gogò e cene fuori tutte le sere. Non si può giudicare la qualità della vita di Berlino o di Londra se non ci si è vissuto il tempo necessario per poter pagare una tassa, cercare lavoro o avere una disavventura qualsiasi. Ma c’è un “però” che pesa come un macigno. Ci sono delle cose che sono oggettive e si possono valutare anche vivendosi un paese con il cuore leggero di un amante occasionale.

Il rispetto per la dignità umana. L’educazione. La valorizzazione dell’istruzione. La cura del verde. La promozione delle energie rinnovabili. Gli incentivi alle famiglie. La costruzione di una cultura sempre più “green”. La raccolta differenziata. La diplomazia. L’ordine. Le pene più severe per chi delinque. Gli affitti più bassi. Gli aiuti per i più disagiati. I mezzi pubblici funzionanti. Le piste ciclabili. La non necessità di prendere l’automobile. L’integrazione degli immigrati. La tolleranza. Le possibilità. Potrei andare avanti per pagine e pagine, perché sono tante le cose che mi colpiscono quando mi riempio gli occhi della bellezza che mi offre una città che non mi appartiene. E ritrovarsi in una sera di fine estate a guardare uno scorcio di via del Tritone al tramonto, di una beltà sconvolgente, mi mette ancora più amarezza. Un dettaglio, forse, che altre città non possiedono, ma immerso in un lassismo così pronunciato da oscurarne la poesia.

Roma non è, ormai, la città più bella del mondo, e non lo è in primis per i romani. La trascuratezza e l’invivibilità hanno vinto, annichilendola. A questo punto parlare non serve a nulla, agire si. E se non servisse almeno potrete dire di aver fatto qualcosa. Nessun rimpianto, al massimo qualche rimorso in più, ma con la consapevolezza che se ci sarà un qualsiasi cambiamento, beh, ne avrete fatto parte.

Serena Savelli