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Pubblicisti addio?

Monti ha dato il via a tutta una serie di liberalizzazioni che dovrebbero consentire al nostro ordinamento di svecchiarsi e di allinearsi finalmente al resto dell’Europa.

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Tra le varie novità dell’ormai noto “decreto Salva Italia”, ma se ne parlava già da prima in realtà, c’è una categoria in particolare che rischia di scomparire: la mia. La possibilità che l’elenco dei giornalisti pubblicisti scompaia serpeggia tra gli 80.000 iscritti, una fetta corposa dei professionisti dell’informazione. La situazione, ad oggi, è ancora vaga: c’è chi dice di non preoccuparsi, chi ammette che sarebbe ora di eliminare ogni albo professionale e chi si preoccupa per il suo status. Non è una questione di caste o di privilegi, si parla di lavoro. Per accedere alla professione tutti abbiamo dovuto seguire un excursus di formazione non indifferente, che ha richiesto tempo, fatica e dedizione. Non è che diventare pubblicisti sia una passeggiata, e il professionismo è più o meno inaccessibile per chi vuole avvicinarsi a questo lavoro. Le redazioni in grado di offrire il praticantato sono poche e non assumono. Si può ricadere sulle scuole di giornalismo, ma non tutti abbiamo migliaia di euro da spendere. Insomma, l’esame di stato sembra il problema minore, e mi chiedo perché anche per i pubblicisti non sia mai stato introdotto. Io l’avrei fatto con piacere.
I pubblicisti, oggi, sono preoccupati. Io stessa sono preoccupata. E sono preoccupati tutti coloro i quali questo lavoro lo fanno bene, e le centinaia di giovani che vorrebbero realizzare l’ambizione di scrivere e che, se non ci sarà un’adeguata regolamentazione, rischiano di rimanerne fuori senza le giuste conoscenze e/o condizioni economiche. È giusto evolvere, e ci sono molte cose che nel nostro paese andrebbero cambiate, modernizzate. Ma dare colpi di mannaia senza una tutela per chi da anni persegue un percorso professionale concreto non mi pare giusto. Spero davvero che non sarà così e che presto ci siano dei segnali in tal senso.
E a chi è fautore di abolizioni tout court, solo perché tutti devono poter esercitare la professione che vogliono, vorrei dire che non si diventa medici, ingegneri, avvocati e giornalisti senza aver sudato sui libri, negli uffici, di fronte a un computer. Bisogna lavorare, formarsi e acquisire le competenze per poterlo fare. Non è una questione di ordini professionali, è buon senso, oltre che rispetto per chi si è dedicato a perseguire un obiettivo. Fatelo anche voi, se volete. Io, nel mentre, confido nell’avvento di un utopistico rinnovamento che metta finalmente d’accordo tutti.

 

Serena Savelli