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Respect

rispetto

C’era una volta, tanto tempo fa, una delle conquiste sociali più grandi, fondamento di ogni civiltà degna di questo nome, incipit dell’uomo moderno e di tutta la sua importante stirpe: il rispetto.

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Ora, forse questa parolina magica è stata da sempre il condimento di una realtà utopica, immaginata. Forse non è mai esistita, ma mi piace pensare che il vero sfacelo sia avvenuto in questi miei pochi anni di vita, in cui tutti si accaniscono contro tutti, e non dico l’amore, ma la tolleranza verso il bene, il carattere, il lavoro, la vita altrui sembra esser stata dimenticata in qualche vecchia valigia polverosa dei nostri bisnonni.

 

Avete mai notato – o siete mai stati artefici di, visto che nessuno è immune da questa psicosi collettiva – come le persone si trasformano in animali quando guidano? E per cosa? Quale ragione esistenziale diventa talmente importante quando ci si trova con quattro ruote sotto le natiche da far uscire dalle nostre bocche una quantità tale di oscenità che imbarazzerebbero anche il più navigato turpiloquiante? Nessuna, credo io. Non abbiamo tutti parenti all’ospedale in fin di vita, o improvvisi attacchi di dissenteria e nemmeno siamo tutti sempre, perennemente in ritardo.
Avete mai pensato che il mondo del lavoro, o della formazione, subisca sempre più una flessione negativa nella considerazione dei ruoli? Solitamente la figura del “dipendente” è equiparata con quella dello “schiavo” e il “capo” è sempre più un orco senz’anima piuttosto che una figura da cui succhiare avidamente ogni particella della sua esperienza professionale. Se ci fosse di più il rispetto per i ruoli, per il lavoro, per la dignità delle persone non esisterebbe tutto questo marasma caotico che giovani – e ora anche meno giovani – si ritrovano a dover fronteggiare ogni giorno.
E infine, avete mai pensato a come vi approcciate con l’altro sesso? Che la cavalleria sia morta e sepolta è ormai appurato ma, reclameranno gli ometti, abbiamo voluto la parità dei sessi e ora ce la teniamo. Mi sta bene. Poi che questo sia un alibi per una sempre più dilagante maleducazione, beh, facciamo finta di non saperlo. L’altro giorno, di contro, leggevo un articolo che mi ha raggelata: gli uomini venivano equiparati a delle pietanze da mettere su un ipotetico fornello, alcuni da cuocere a fuoco lento, altri a fiamma allegra, contemporaneamente. Ecco, in quel momento ho pensato a questo editoriale e a quanto oramai siamo infarciti di mancanze di rispetto. Talmente tanto che nemmeno ci facciamo caso. È triste, non credete?

Serena Savelli